La “condanna” platonica dell’arte – 2

La condanna dell’arte nel X libro di Repubblica (1a parte)

Introduzione

Che cos’è la mimesis?

Bisognerà anzitutto indagare qual è il tipo di mimesis propria dell’arte e, in base a ciò, individuare il rapporto del riprodurre artistico con la verità.

Il X libro di Repubblica inizia con una precisa domanda rivolta da Socrate a Glaucone.

Sapresti dirmi che cosa è mai in generale l’imitazione (μίμησις)? Perché nemmeno io capisco proprio cosa vuole essere (Rep. 595 c).

Come risulterà evidente dalla lettura del dialogo, vedremo che Platone non ci dirà che cos’è la mimesis, bensì qual è la giusta mimesis, la mimesis migliore, quella che rispetta e riproduce più correttamente il modello. Ciò che otterremo sarà, nel più puro spirito platonico, una gerarchia di enti, ognuno di essi determinato da un peculiare modo del produrre e da un proprio rapporto con il modello. Il vero scopo di Platone, in altri termini, è quello di individuare quale attività mimetica sia legittima nello stato ideale e quale sia invece da condannare e bandire.

Socrate e Glaucone, allora, procedono nell’indagine usando il metodo diairetico.

S. – Vuoi che, fedeli al nostro solito metodo, incominciamo qui a esaminare la questione? Siamo soliti, non è vero? porre un’unica singola specie per ciascun gruppo di molti oggetti ai quali attribuiamo l’identico nome. Consideriamo anche adesso uno qualunque di questi numerosi oggetti, quello che vuoi. Per esempio, se sei d’accordo, esistono molti letti e tavoli, non è vero? però le idee relative a questi mobili sono soltanto due, una del letto e una del tavolo (Rep. 596 a-b).

Per i molti letti c’è una sola idea (εἶδος) di letto, il letto in sé, per molti tavoli c’è una sola idea di tavolo, il tavolo in sé. L’uso del termine εἶδος (lat. species) sta a indicare che Platone non si muove nell’ambito del pensiero astratto, ma in quello del vedere, non richiama primariamente la sfera del concettuale, ma quella della vista (εἶδος da ἰδεῖν = vedere, da cui idea). L’idea di Platone non è il risultato di un processo di generalizzazione: l’idea di letto non è il letto in generale, non deriva dall’astrazione dei singoli letti particolari. L’idea non è generalità, ma singolarità, prototipo, archetipo, modello originario e intrattiene con gli oggetti sensibili un rapporto diverso,  addirittura opposto, rispetto a quello che intrattiene il concetto, come risulta da questo schema.

 Idea di letto   >     Processo di imitazione                                              >     Letti sensibili

Letti sensibili   >     Processo di astrazione e di generalizzazione      >     Concetto di letto

L’imitazione demiurgica

Solo se teniamo presente questa caratteristica dell’idea siamo in grado di cogliere ciò che Socrate dice subito dopo il brano citato.

E non siamo anche soliti dire che l’artigiano dell’uno e dell’altro di questi mobili guarda all’idea per fare così uno i letti, l’altro i tavoli che noi usiamo? E non è allo stesso modo per gli altri oggetti? Ma l’idea stessa non la costruisce nessun artigiano. Come potrebbe? (Rep. 596 b)

Qualunque artigiano, quando fabbrica un oggetto, lo fa “guardando” l’idea di quell’oggetto, assumendola, quindi, come un vero e proprio prototipo. Questo tipo di produzione è chiamata da Platone produzione demiurgica, una mimesis che indica un fabbricare, un produrre qualcosa al modo di un’altra. Lo sguardo greco sul mondo non vede nelle cose degli enti semplicemente presenti, enti dati nella loro oggettività (questo sarà lo sguardo obiettivistico della scienza), ma sempre cose prodotte che intrattengono con i rispettivi εἴδη un rapporto di imitazione, di mimesis.

La molteplicità degli oggetti sensibili non è solo una molteplicità numerica (numerosità), ma anche una molteplicità qualitativa (varietà). Perciò l’unicità dell’idea a cui ogni oggetto fa riferimento non va intesa solo in senso numerico, ma, prima ancora, come identità con sé e come immutabilità. L’idea rimane identica e immutabile in rapporto a tutte le variazioni degli oggetti singoli che a essa si riferiscono ed è, perciò, quell’uno che mantiene la stabilità in mezzo al mutamento e al divenire. Stabilità, immutabilità, identità, eternità sono dunque i caratteri dell’essere platonico, un essere che è nello stesso tempo antitesi e ragione del divenire.

Che ne è, allora, delle molte cose fabbricate, che ne è dei letti, dei tavoli, in rapporto alla rispettiva singola idea? Qual è la natura e lo scopo della produzione demiurgica?

Tavoli e sedie non sono semplicemente qui come le cose della natura, un sasso, un fiore, ma sono fabbricate per essere usate da tutti noi, sono fabbricate per la comunità, per il δῆμος (demos). Chi lavora per fabbricare queste cose per ognuno di noi, per la comunità, per il popolo, è l’artigiano, in greco δημιουργός (demiourgos), il quale nella sua opera non procede arbitrariamente, ma guardando l’idea. Tutto ciò che è fabbricato dall’artigiano per l’uso del popolo è fabbricato secondo questa modalità: non è una produzione fine a se stessa, ma in vista di un uso da parte della comunità, non è una produzione che nasce dalla libera invenzione dell’artigiano, ma guidata da un modello ideale al quale il demiurgo continuamente si ispira.

Ciò che è stato fabbricato ha un’esistenza effettiva perché l’idea, di cui è rappresentazione, lo fa essere, lo rende visibile. Ciò che è fabbricato si mostra per ciò che è in quanto si riferisce all’idea. Solo in quanto copia di un modello un ente è legittimato ad essere.

L’imitazione illusionistica

Socrate passa poi a considerare un altro tipo di artigiano, ben strano, a dire la verità.

 

– Ma vedi come chiami questo artigiano.- Quale? – Quello che fa tutti quegli oggetti che ogni singolo operaio fa, ognuno nel proprio campo specifico. […] Questo medesimo operaio non solo è capace di fare ogni sorta di mobili, ma anche tutti i prodotti della terra, e crea tutti gli esseri viventi e per di più se stesso; e poi crea terra, cielo, dei e tutto il mondo celeste e sotterraneo dell’Ade.– Tu parli di un sofista ben meraviglioso.– Pensi che un simile artigiano non ci sia affatto? O credi che un autore di tutto questo possa in un certo modo esistere e in un certo modo no? Non ti accorgi che anche tu stesso saresti capace di fare tutte queste cose, almeno in un certo modo? […] Basta che tu voglia prendere uno specchio e farlo girare da ogni lato. Rapidamente farai il sole e gli astri celesti, rapidamente la terra e poi te stesso e gli altri esseri viventi, i mobili, le piante e tutti gli oggetti che si dicevano or ora (Rep. 596 b-e).

Se ci fosse un artefice capace di produrre, non solo tutto quello che ogni diverso artigiano è capace di fare, ma anche ciò che cresce dalla terra, piante, animali, il cielo e la terra stessa, addirittura altri uomini e gli stessi dei, sarebbe l’uomo più potente, più inquietante e più meraviglioso che esiste, un vero taumaturgo, facitore di miracoli.

Ebbene, non solo costui esiste realmente, ma ognuno di noi sarebbe capace, alla fine dei conti, di mettere in atto un simile fabbricare. Basta solo considerare in quale modo si intende il fabbricare, un modo che, se è alla portata di tutti, non deve essere così difficile. E qui Socrate enuncia la sua teoria dell’imitazione come rispecchiamento. Anche lo specchio, infatti, in un certo modo, riproduce, cioè fa essere gli enti.

La comprensione di questa teoria non può prescindere dalla comprensione del significato “greco” del verbo “produrre”. Se intendiamo il fare, il produrre, il ποιεῖν (poiein), nel senso generico di “costruire”, l’esempio dello specchio non ha alcuna pertinenza. Lo specchio, infatti, non costruisce il cielo, un volto, una sedia. Se invece lo intendiamo “grecamente” come “portare l’idea ad apparire”, allora è innegabile che lo specchio, in un certo modo, produce il cielo, un volto, una sedia.

Qui Glaucone fa un’obiezione che Socrate apprezza, perché coglie il nocciolo di ciò che vuol dire. Lo specchio, infatti, produce

Oggetti apparenti, senza effettiva realtà. (Rep. 596 e)

Il rispecchiare produce le cose, le porta alla presenza, ma non come qualcosa che appare nella verità. Le cose rispecchiate sono copie, copie anch’esse, quindi ontologicamente affini alle copie fabbricate dall’artigiano, ma sono copie che simulano l’idea, anziché riprodurla. Non stanno nella verità, ma nell’apparenza, non sono “realtà”, ma “finzioni”.

L’ente ideale, il modello, non si contrappone alla copia legittima, ma la sostanzia. In quanto sua ragione trascendente, ne garantisce l’identità contro la dispersione nel puro molteplice irrelato e diveniente. A contrapporsi, invece, sono i due enti copie: da un lato, l’ente copia-legittima, prodotto artigianale, “reale” in quanto espone propriamente l’εἶδος, l’idea, dall’altro, l’ente copia-finzione, prodotto di simulazione, mera parvenza, simulacro, ente che non espone l’idea, ma ne finge solamente i tratti.

In altri termini, la copia artigianale rappresenta l’idea e con essa non c’è contrapposizione, ma correlazione, dal momento che, senza l’idea, l’ente sensibile sarebbe mera ombra e la molteplicità con cui si dà sarebbe mera dispersione irrelata. Altro, invece, è il rapporto fra il letto in cui mi corico e il letto dipinto. Qui non c’è alcun fondamento dell’uno rispetto all’altro, non c’è rapporto di rappresentanza, ma di mera simulazione. Se il letto reale è “segno” dell’idea nel sensibile, il letto dipinto è, invece, inganno. Entrambi, in un certo modo, “producono” l’idea nel sensibile, l’uno (il letto reale) esponendola, l’altro (il letto dipinto) tradendola.

Quello platonico è un dualismo che attraversa e spacca il sensibile. Platone affonda la lama del suo pensiero nella viva carne del nostro mondo quotidiano, lacerandolo, salvandone una parte e condannandone un’altra, in base a un giudizio sia ontologico che morale, determinato dalla “disponibilità” che questo mondo ha di riferirsi o di allontanarsi dall’intelligibile e dal bene. Perciò nel platonismo è essenziale, come indica Deleuze, il processo di selezione, attraverso il quale distinguere le copie vere prodotte dall’imitazione demiurgica dalle copie false prodotte dall’imitazione illusionistica.

Dopo aver enunciato la teoria dell’imitazione come rispecchiamento, Socrate cerca, con l’ausilio del metodo diairetico, di individuare se vi sono dei produttori che operano allo stesso modo in cui opera lo specchio, producendo mere ombre, anziché oggetti effettivi. E ritrova nel pittore, ma anche nello scultore e in ogni altro genere di artista imitativo, lo stesso τρόπος (tropos, modo) produttivo del rispecchiare. Anche l’artista, infatti, riproduce le cose, ma, come lo specchio, alla stregua di φαινόμενα (phainomena, apparenze).

– A simili artigiani, secondo me, appartiene anche il pittore. […] Dirai, credo, che gli oggetti fatti da lui non sono veri. Eppure, in un certo modo, almeno, anche il pittore fa un letto. O no? – Sì, però anche il suo è un letto apparente. (Rep. 596 e)

Dipingere e rispecchiare, allora, sono due modi dell’imitazione, i quali, a differenza di un altro modo dell’imitazione, quello demiurgico, non producono oggetti reali, ma oggetti fittizi. La superficie dipinta, nella concezione platonica, ha lo stesso tropos della superficie metallica riflettente e non quello della materia in cui si dà l’oggetto reale.

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