La “rivalutazione” aristotelica dell’arte – 2

Il concetto di arte (techne) nell’Etica Nicomachea (1a parte)

Il concetto greco di τέχνη (techne)

Il nostro termine “Arte” è l’esito di un processo di traduzione storicamente complesso, che può essere così visualizzato: techne > ars > arte > Arte. Come si può notare, il punto di partenza è costituito da un termine greco che si è tramandato e conservato etimologicamente in una “pratica”, la tecnica, che oggi sembra appartenere a tutt’altro campo semantico rispetto all’arte, anche se non è inconsueto accoppiare i due termini, come si fa quando si parla, ad esempio, di tecnica artistica, per indicare genericamente i mezzi e le strategie di lavorazione adoperate da un artista per dar vita alla propria opera.

Techne, in greco, non indica primariamente un fare, ma appartiene, piuttosto all’area semantica dell’episteme, della scienza, del sapere. Più che un “fare”, insomma, la techne, è un “saper-fare”, è un certo tipo di conoscenza. L’architetto, il medico, il pilota, sono τεχνίται (technitai), non solo perché fabbricano case o monumenti, guariscono malati o conducono navi lungo la giusta rotta, ma prima ancora perché possiedono la conoscenza di che cos’è una casa, un tempio, la salute e la malattia, la nave e la rotta da seguire.

La definizione di techne

Nel Capitolo IV del VI libro dell’Etica Nicomachea, mentre sta distinguendo la produzione, ποίησις, (poiesis) dall’azione, πράξις, (praxis), Aristotele ci presenta una delle più complete definizioni di τέχνη (techne) che si possano trovare nei suoi scritti. Come esempio di produzione, sceglie l’architettura (produzione di edifici).

Poiché l’architettura è una certa “arte” (techne), ed appartiene alla sua essenza di essere un comportamento, ἕξις, (hexis, habitus) produttivo, ποιητιχή (poietiché), governato da sapere, μετὰ λόγου, (metà logou) e poiché non esiste nessuna “arte” che non sia comportamento produttivo governato da sapere (s.m.), né alcun comportamento siffatto che non sia un’arte, vi sarà identità fra “arte” e comportamento produttivo guidato da sapere. Ogni arte concerne il far venire all’esistenza, γένεσις (ghenesis) e usare l’arte è considerare come è possibile far venire all’esistenza una di quelle cose che possono sia essere che non essere e il cui principio è in chi produce e non nella cosa prodotta. Infatti l’arte non ha per oggetto né le cose che sono o divengono necessariamente, né quelle che sono o divengono per natura: queste infatti hanno in se stesse il proprio principio. […] La mancanza di “arte” è un comportamento che dirige il produrre guidato da un sapere falso. Entrambe (l’arte e la mancanza d’arte) concernono ciò che può essere diversamente da quello che è. (Eth. Nic. 1140a).

La concettualità relativa all’arte gravita nell’area semantica che riguarda gli enti contingenti, enti che sono, ma che possono anche non essere. In questo ambito, le disposizioni che guidano l’esser-ente degli enti contingenti sono, per la φύσις (physis, natura), la physis stessa, per la praxis (azione), la φρόνησις, (phronesis, saggezza) e per la poiesis (produzione), la techne (arte).

Della definizione di arte come “comportamento produttivo guidato da sapere” faremo ora un’analisi approfondita, esaminando i tre concetti fondamentali che la costituiscono: ἕξις (hexis, comportamento), λόγος (logos, sapere) e ποίησις (poiesis, produzione).

L’arte come comportamento (hexis)

ἕξις (Hexis) (lat. habitus), significa contegno, disposizione, abitudine, “modo d’essere“. Indica il possesso permanente di una disposizione e non è, quindi, qualcosa che riguarda l’essere potenziale, ma l’essere effettivo. Indica l’attualità, l’effettività, ἐνέργεια, (energheia) di una relazione. Il termine hexis ricorre spesso in Aristotele, sia nella Metafisica che nell’Etica.

Il termine hexis significa, in un senso una certa effettività (energheia) propria di ciò che possiede e di ciò che è posseduto, come una certa azione o un certo movimento. Infatti, quando una cosa produce e un’altra viene prodotta, fra l’una e l’altra c’è di mezzo l’azione del produrre; così fra chi possiede una veste e l’essere posseduto della veste c’è di mezzo l’azione del possedere. Ora, è evidente che del possesso inteso in questo senso, non si può avere ulteriormente possesso, perché nell’ipotesi che fosse possibile avere possesso del possesso, si andrebbe all’infinito. In un altro senso hexis significa la disposizione, διάθεσις, (diathesis) in virtù della quale la cosa è disposta bene o male, sia per sé, sia in rapporto ad altro. La salute, ad esempio, è hexis in questo senso. (Met. 1022b).

Prendiamo come esempio la frase “Questo libro, scritto da Aristotele, è mio”. Qui non sto parlando di qualcosa che concerne il libro in quanto tale, né di me stesso in quanto tale, né di Aristotele in quanto tale. Sto invece indicando l’effettività di due relazioni, quella di possesso (fra me e il libro) e quella di produzione (fra Aristotele e il libro). La hexis non concerne né il libro posseduto né il possessore del libro, né il libro prodotto né il produttore del libro, ma lo “stato del possedere”, lo “stato del produrre”, uno stato, cioè, in base al quale il libro, oltre a essere “ciò che essenzialmente è” (secondo la propria definizione o il proprio concetto) e oltre a essere “ciò che effettivamente è” (secondo la propria particolare esistenza), è anche “oggetto posseduto” (secondo la hexis del possedere) e “oggetto prodotto” (secondo la hexis del produrre).

Per comprendere perché l’arte è una disposizione, un comportamento, nel senso sopra indicato, dobbiamo rivolgerci a un altro passo dell’Etica Nicomachea, precisamente al libro II, capitolo V, dove Aristotele determina la hexis come il genere prossimo a cui appartiene la virtù, ἀρετή, (areté).

I tre modi dell’anima: passione, facoltà, comportamento.

Tre, secondo Aristotele, sono i modi dell’anima: la passione o affezione, πάθος, (pathos), la capacità o facoltà, δύναμις, (dynamis) e il comportamento, ἕξις, (hexis). Solo uno di questi modi riguarderà la virtù: il comportamento.

Chiamo passioni la brama, la collera, la paura, l’ardimento, l’invidia, la gioia, l’amicizia, l’odio, il desiderio, l’emulazione, la pietà, in generale ciò a cui fanno seguito piacere e dolore. (Eth. Nic. 1105b)

L’anima in quanto passione o affezione (pathos) non indica primariamente uno stato di passività, ma la capacità che l’anima ha di mettersi in risonanza con gli eventi che la toccano e di provare, quindi, in seguito a ciò, piacere o dolore. L’anima non è qualcosa di inerte che passivamente cede o resiste agli eventi che la toccano, come farebbe un metallo o una pietra, ma è una cosa viva, che risponde a ciò che le accade provando piacere o dolore.

(Chiamo) facoltà quelle per le quali siamo detti capaci di sentire queste passioni; ad esempio quelle per le quali abbiamo la capacità di provare collera, o di provare dolore o di provare pietà. (Eth. Nic. 1105b)

L’anima in quanto facoltà (dynamis) indica la capacità di produrre, capacità di sentire e di sopportare le passioni e le affezioni. Ogni passione presuppone una dynamis specifica. Solo se sono collerico, cioè se la mia anima possiede la capacità di provare collera, la collera mi può appartenere come passione. La mancanza di una capacità, anche di quella di accogliere una passione che può sembrare negativa come la collera, per Aristotele è un impoverimento dell’anima.

(Chiamo) comportamento ciò per cui, in rapporto alla passione, ci disponiamo bene o male; così in rapporto all’ira: se ci irritiamo violentemente o debolmente, ci comportiamo male; se ci irritiamo nella dovuta misura, ci comportiamo bene. E parimenti anche rispetto alle altre passioni. (Eth. Nic. 1105b)

Se pensiamo all’anima come a uno strumento musicale, la dynamis di quello strumento rappresenta la gamma possibile di suoni che può emettere, i pathe sono i suoni effettivamente prodotti di volta in volta, mentre la hexis rappresenta la “qualità” del suono prodotto (senza nerbo, incolore, spento; eccessivo, sovraccarico; giusto).

Come la capacità o facoltà, anche il comportamento (hexis) è un modo di rapportarsi alla passione o affezione (pathos), ma, mentre la facoltà vi si rapporta in quanto potenzialità, il comportamento vi si rapporta in quanto attualità ed effettività. Riguardo all’ira, ad esempio, Aristotele ci presenta tre modi possibili in cui l’anima può comportarsi. Due di questi sono sbagliati e indicano un comportamento non virtuoso, l’altro, invece, è giusto. Viene condannato non solo l’eccesso, il perdere le staffe, l’andar fuori dai gangheri, ma anche il difetto, l’indifferenza, l’incuranza, l’incapacità di adirarsi davanti a un’ingiustizia.

Se il mondo platonico è lacerato da un drammatico dualismo (ascensione o caduta, senza via di mezzo), il mondo aristotelico assegna un compito che solo a degli eccitati “romantici” può apparire mediocre o moderato, la ricerca di un equilibrio fra gli estremi. L’equilibrio, il giusto mezzo, è tutto tranne che mediocritas. È la capacità di governare tensioni opposte, estremiste, alle quali è più facile cedere che resistere. Quella platonica e quella aristotelica sono due tensioni potentissime, anche se di segno opposto: divergente per Platone, convergente per Aristotele. L’equilibrio, per sua natura, è dinamico e riguarda sempre un modo di governare le forze. Il giusto comportamento è quel “punto inesistente” che “determina” l’eccesso e il difetto. Nell’esempio aristotelico dei tre comportamenti davanti al pericolo (pavidità, coraggio, temerarietà), il coraggio è sempre quel comportamento al limite, nel senso che, “appena” al di qua di esso si viene presi dal panico e, “appena” al di là di esso si è preda dell’ebbrezza del rischio. Come ogni comportamento, anche l’arte, in quanto comportamento produttivo, può essere difettiva, giusta o eccessiva.

L’arte come comportamento produttivo (poiesis)

L’arte, in base alla definizione che Aristotele ne ha dato, non è semplicemente un modo del comportarsi, ma un comportamento produttivo, un comportamento che riguarda non l’agire, ma il produrre. In questo si differenzia dall’etica, che è, invece, un comportamento attivo, un comportamento volto all’agire.

In greco il termine ποίησις, (poiesis, produzione) è un altro concetto semanticamente impegnativo: riguarda l’essere contingente e rappresenta uno dei modi del venire alla presenza (gli altri sono il “fiorire” naturale, physis, e l’azione, praxis). Un albero, un fiore, vengono alla presenza da soli, germogliano, sbocciano. Non così una sedia, un letto o una casa, i quali, per essere, devono essere prodotti da un artigiano. La produzione, nel senso greco del termine, è un modo del condurre qualcosa all’essere proprio in ciò che la cosa prodotta è. Un tavolo, una sedia, un letto diventano ciò che sono perché così li ha prodotti la causalità poietica, la quale, come abbiamo visto, è sempre un comportamento non governato da casualità, τύχη (tyche), ma da sapere.

Nel mondo greco la distinzione non passa fra il sapere, da un lato, e l’agire o il fare, dall’altro (fra teoria e pratica), ma fra due modi del sapere, un sapere fine a se stesso, un sapere che ha di mira la contemplazione di ciò che è, la θεωρία (theoria) nel senso proprio del termine, sapere di tipo superiore, perché ha come proprio oggetto ciò che necessariamente è e che non muta nel proprio essere, e un sapere in vista di qualcos’altro, dell’agire (etica) o del produrre (tecnica).

L’arte come comportamento produttivo governato da sapere (metà logou)

Il termine logos, prima di significare la ragione, il pensiero, il linguaggio, indica il raccogliere, il mettere assieme, λέγειν (leghein) ed è in questo senso che il logos va inteso in rapporto all’arte (techne).

Arte, pur attenendo alla sfera della conoscenza, non significa, come abbiamo notato sopra, mero sapere circa una cosa, ma “sapere in vista della produzione” di quella cosa. Il sapere tecnico non si realizza nella contemplazione (so cos’è un tavolo, ne possiedo il concetto), né in una azione (uso propriamente il tavolo), ma nella produzione (fabbrico il tavolo). Un artigiano è un artigiano solo considerando assieme, raccogliendo assieme (leghein) il suo sapere riguardo a una cosa e la cosa prodotta. Questa non è una semplice aggiunta, una precisazione ulteriore del concetto di arte (techne), ma proprio ciò che definisce l’arte nel senso greco del termine, come ha bene inteso Heidegger nel suo corso del 1931 dedicato all’essenza e alla realtà della forza in Aristotele.

La poietiké episteme è l’intendersi della poiesis, è il sapere come produrre qualcosa e non la semplice episteme, non semplicemente intendersene o conoscere: questo semplice conoscere non tocca anche la loro produzione, ma lascia le cose così come sono, per informarsi solo intorno a quel che esse sono e come sono, per diventare esperto in questo. Questo modo dell’informazione è la scienza, mentre la episteme poietiké è techne. Scorgiamo qui ovunque quanto il concetto greco della conoscenza sia determinato da tutto questo, ossia dalla fondamentale relazione dell’uomo con l’opera, con l’opera compiuta, portata alla fine. Questo non ha certamente nulla a che fare con una comprensione “primitiva” del mondo, nata all’interno di un orizzonte costituito di manufatti, contrapposta alla nostra visione guidata da concetti fisico-matematici presumibilmente superiori. (M. Heidegger, Aristotele. Metafisica Q 1-3, Mursia, Milano, 1992, p. 94)

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